martedì 30 ottobre 2012

Accettare passivamente ?

La Muraglia ligure che sta crollando


Le Cinque Terre sono un’area sempre più a rischio: il 92% delle frane avviene nelle zone incolte

I terrazzamenti di Manarola

I muretti a secco dei terrazzamenti, sulle colline delle Cinque Terre a picco sul mare, se fossero messi in fila, sarebbero lunghi 5.729 chilometri: poco meno della Muraglia cinese. Negli ultimi due decenni questo serpentone sta franando in mare, portando con sé terra, uomini, animali e anche «vie dell’Amore». I terrazzamenti, comparsi nello Spezzino attorno all’anno Mille, hanno consentito per secoli alle popolazioni locali di vivere coltivando queste terre strappate a pendenze impossibili. Dirupi trasformati in vigneti a picco sul mare: un ecosistema perfetto ammirato nel mondo. Peccato che lo stesso mondo adesso le veda franare in mare, un pezzo alla volta.

LIGURIA - Gli uomini fanno e disfano, nella zona delle Cinque Terre male, visto cosa succede ad abbandonare al loro destino zone prima coltivate e curate. Ma tutto il territorio della Liguria, sotto questo profilo, non gode di buona salute: il 98% dei suoi Comuni (232 su 235) «presenta un’elevata criticità idrogeologica» e «155 mila persone vivono o lavorano in aree considerate pericolose», come è scritto nel rapporto Ecosistema a rischio, firmato da Protezione civile e Legambiente. La provincia di La Spezia non manca un colpo: 32 Comuni a rischio su 32. Una terra che prima era curata come un purosangue, adesso è diventata cavallo da tiro, e infatti scalcia di brutto.

ABUSI - Marino Fiasella, commissario straordinario della Provincia di La Spezia, lo spiega così: «Il principale problema in questa zona è dato dalla troppa gente che sollecita un territorio che necessita di manutenzione e cure meticolose». Nel dopoguerra in Liguria c’erano 150 mila persone che lavoravano la terra, oggi sono meno di 14 mila, in gran parte anziani. Delle terra ci si è continuati a occupare, ma nel giro di pochi anni si è capovolto il modo: costruendo ovunque, con una quantità incredibile di abusi edilizi, e poi dighe e ponticelli fuori norma, frane mai messe in sicurezza, boschi e campi in stato di abbandono. Il cavallo da tiro è diventato pericoloso: il 4 ottobre 2010 straripano quattro torrenti che mandano Sestri Ponente in apnea; nel 2011 le Cinque Terre rimangono tre: Vernazza e Monterosso vengono sommerse di fango e con loro 18 vittime. Un mese fa esatto, se proprio ancora serviva un evento simbolico, è franata la «Via dell’Amore», che una volta rimessa in sesto andrà anche sicuramente ribattezzata, almeno per rispetto alle quattro turiste australiane rimaste ferite gravemente. Non si capisce cosa si debba attendere ancora prima di veder franare in mare un’intera regione.

IL NUOVO STUDIO - Una buona occasione per riflettere sul problema, augurandosi che non sia l’ultima, la offre una ricerca intitolata Terrazzamenti e dissesto idrogeologico: analisi del disastro ambientale delle Cinque Terre. Insieme ad altri ricercatori la firma Mauro Agnoletti, professore associato di pianificazione del territorio e di storia ambientale all’Università di Firenze. Sarà presentata il prossimo 9 novembre a Firenze, durante i lavori di Florens, biennale internazionale dei Beni culturali e ambientali. Nelle Cinque Terre, più che altrove per la particolare conformazione del territorio, si deve fermare la cementificazione e riprendere la cura della terra. «Non c’è via d’uscita », sottolinea Agnoletti, «se non si comprende che la presenza dell’uomo come agricoltore è la migliore difesa contro il dissesto».

DERIVA - Questo è il primo comandamento per invertire una deriva, anche culturale, che sta confondendo tutto, anche il fatto che la comparsa dei boschi dove una volta c’erano terre coltivate sia letto come buon segnale. «È vero il contrario, e nella nostra ricerca emerge dai dati: su 88 frane esaminate nelle Cinque Terre, il 47,7% è avvenuto in zone di colture abbandonate, e il 44,3% in aree boschive non gestite». Se gli alberi tornano a occupare una zona che l’uomo aveva rimodellato, lo fanno a loro uso e consumo e quindi, per esempio, con le loro radici sfondano i famosi muri a secco su cui si regge l’intero sistema dei terrazzamenti. «Un conto è fare rimboschimento mirato in montagna, che può stabilizzare il terreno», spiega Agnoletti, «un altro è abbandonare alla riforestazione spontanea zone come quelle delle Cinque Terre». Dove, in caso di piogge sopra la norma e su pendenze elevate, il peso delle piante d’alto fusto ha un effetto devastante di sradicamento, non di tenuta. Il concetto è chiaro, e si ripete quando la natura abbandonata si scrolla di dosso qualcuno. «Ogni volta che si va a cercare le cause dei disastri si scopre lo stesso problema: non c’è più gente che lavora la terra, che va in malora. Le conseguenze, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti». Parole di Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria.

Stefano Rodi22 ottobre 2012 (modifica il 30 ottobre 2012)

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